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La giada vera e la giada falsa

Su una montagna di una località nel nord dell’antica Cina, viveva un uomo ormai molto avanti negli anni e col desiderio di starsene, per tutto il poco tempo che gli rimaneva, assorto nei sui pensieri. Così almeno avrebbe voluto, se non si fosse venuto a sapere – come non si sa – che egli possedeva la rarissima capacità di saper distinguere la giada vera da quella falsa.


Fu così, quindi, che gli abitanti della pianura presero a inerpicarsi fino alla povera baracca per far valutare l’autenticità o la falsità di statuette o monili di giada. Il vecchio non si sottraeva mai alle continue richieste: guardava l’oggetto, lo toccava e poi sentenziava, senza sbagliare. Non chiedeva mai alcun compenso.



Un ragazzino particolarmente sveglio, che abitava in un villaggio ai piedi del monte, venne a conoscenza di quello strano movimento e si chiese quale fosse il segreto che possedeva il vecchio saggio. Di più: si domandò, cosa questa mai venuta in mente ad altri prima di allora, se costui sarebbe stato disponibile a rivelarglielo! “Il vecchio – pensò il ragazzino – non ha più molta vita davanti e sé ed io, se riuscirò a imparare la sua arte, mi farò pagare per valutare la giada e diventerò ricco”.

Decise così di partire alla volta della montagna, entrò nella povera capanna, rispose al saluto gentile dell’uomo che gli chiedeva cosa potesse fare per lui e pose timidamente la domanda, aspettandosi un cortese diniego. Invece, con somma meraviglia, il vecchio lo fece sedere e, prima di iniziare, lo invitò a tenere in mano per tutta la ‘lezione’ una statuetta di giada che era riposta in un angolo della stanza. Il giovane si sedette felice e, con in mano la statuetta, si apprestò a carpire il ‘segreto della giada’.

«Devi sapere – prese a raccontare il vecchio – che io sono nato 92 anni or sono in una lontana località nel sud della Cina, da una povera famiglia di contadini. Ero l’ottavo d’undici, tra fratelli e sorelle, e fui sempre molto malaticcio e di debole costituzione, tanto che i miei non poterono mai mandarmi in campagna coi miei fratelli a lavorare nei campi e tanto meno a scuola a studiare. Vissi molto coi nonni che mi fecero da genitori. All’età di 11 anni, fui sul punto di morire per una febbre malarica e allora mi portarono…».

Il racconto dell’infanzia del vecchio si portò via tutto il giorno e, al calar del sole, il giovane, piuttosto sconcertato ma affascinato, si accinse a far ritorno al villaggio.

Il vecchio chiese all’allievo di deporre la statuetta e gli disse che, se lo avesse voluto, sarebbe potuto tornare il giorno successivo. L’indomani, di buonora, il giovane bussò e, all’invito del vecchio, riprese tra le mani la solita statuetta, animato dalla speranza di apprendere, almeno quel giorno, il segreto della giada. Invece continuò il lungo racconto della vita del vecchio: la sua fortunosa guarigione, quindi tutta la giovinezza, poi il servizio militare nelle truppe imperiali, le guerre, gli amori… Al calar del sole, si ripeté l’invito del primo giorno: «Riponi la statuetta e torna, se vuoi, domani».

Il giovane ritornò per molti giorni di seguito. Entrava, prendeva la solita statuetta in mano e si disponeva all’attento ascolto, sempre più coinvolto dall’appassionante svolgersi della vita del vecchio: i pochi successi, i tanti dolori, le effimere gioie, gli inevitabili lutti ed i tragici fallimenti… L’aspirante esperto di giade finiva per rivivere la stessa vita del maestro, il quale, in modo sorprendente, con le sue sagge parole riusciva a trasfonderla in lui.

Il racconto stava giungendo agli ultimi anni della vita del vecchio ed era come se il giovane nel frattempo avesse rivissuto sulla sua pelle le esperienze compiute in decine e decine di anni dall’affascinante narratore. Mai il vecchio aveva rivelato particolari segreti sulla la giada, tanto che il ragazzo quasi si era dimenticato del motivo della sua prima visita.

Un bel giorno, l’allievo entrando nella baracca ed afferrando, come al solito, la statuetta, esclamò: «Un momento, scusa un momento: questa giada è falsa!».





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Aronta è quel ch'al ventre li s'atterga,

che ne' monti di Luni, dove ronca

lo Carrarese che di sotto alberga,

ebbe tra ' bianchi marmi la spelonca

per sua dimora; onde a guardar le stelle

e 'l mar no li era la veduta tronca.


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