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Com’è duro… il Pizzo d’Uccello!

Dopo un sabato di intensa negoziazione (che ha impoverito noi e reso piú ricchi gli oligopolisti della telefonia), condotta con la tecnica democratica del «sento lui, poi ti richiamo… però poi fammi sapere se… e dopo chiamo lei, anzi resta in linea che sento se… ma tu hai rivisto il meteo?, a quanto danno la pioggia?», mutuata dal recente mercimonio elettorale, finalmente in serata la fumata bianca: habemus… delectabilis peregrinatio! Traduco, perché non ho capito nemmeno io: stamani si parte alla volta di Ugliancaldo, con tanta voglia di scarpinare, sempre Biro-Biro permettendo. Su Giove Pluvio non intendo essere monotono, ma iersera, fino all’ultimo, si dibatteva se fossero piú attendibili le previsioni di meteo.it o quelle di ilmeteo.it, perché in ballo c’era il quorum al di sopra del quale il rischio pioggia sarebbe stato troppo alto; e tutto si è giocato sul filo della parità (con uno scarto di appena… 25.000 voti!).

Dicevo, si parte verso Ugliancaldo, un borgo di Casola in Lunigiana che probabilmente deve il suo nome (e qui soddisfo una curiosità nata durante il viaggio) a un gentilizio romano, tale Ulius; la faccenda del “caldo” e del “freddo” dovrebbe essere storia nota. No? Beh, chiedete, e soddisferò la vostra curiosità. Il programma è ambizioso, e per ora il cielo regge: ferrata Siggioli, Pizzo d’Uccello, Costiera di Capradossa e ritorno.

Arriviamo a Ugliancaldo (58 chilometri da Carrara), poi imbocchiamo la strada sterrata che conduce alle Cave Cantonaccio: quattro chilometri esatti di buche, ma si risparmia un tratto di scarpinata del tutto insignificante dal punto di vista escursionistico e inutilmente dispendioso di energie. Alle 9,30 lasciamo la macchina nei pressi della sbarra, a 820 metri di quota, e iniziamo l’avvicinamento alla ferrata. Si cammina per un’ora, attraversando prima le cave, poi il bosco e alcune fasce rocciose ancora innevate. Quando vediamo il cavo della ferrata siamo a quota 1.000. Per la cronaca, la ferrata fu realizzata nel 1971 a cura della sezione del Cai di Pisa, per agevolare l’accesso al versante meridionale del Pizzo d’Uccello, ed è dedicata alla memoria degli alpinisti pisani Brunello Tordini e Pierluigi Galligani, caduti in montagna nel 1970, come si legge nella targa.

Un quarto d’ora per i preparativi e iniziamo a salire. Il primo terzo del percorso non presenta difficoltà, mentre il resto si sviluppa in cresta ed è abbastanza impegnativo dal punto di vista fisico. Fatica compensata dalla magnifica vista della parete nord del Pizzo…

Alle 11,45 arriviamo sulla Costiera di Capradossa, a 1.440 metri, poco sopra alla quota della Foce Siggioli da cui prende il nome la ferrata. A questo punto parte una nuova consultazione democratica: si va sul Pizzo, nonostante sia coperto da un nuvolone, o si torna alla base? Il nostro campione statistico, perfettamente rappresentativo dell’universo della popolazione italiana, si spacca a metà, ma siccome siamo in cinque lo scarto dei soliti 25.000 voti vale uno, perciò in tre si va sul Pizzo, laddove i tribolati Fermo & Lucia si involano dall’altra parte. C’è però qualcosa che non mi convince, perché la maggioranza, ehm, va a destra e la minoranza a sinistra. Ho capito: è un… exit poll della Nexus!

Latto, Nico ed io

E fu cosí che Latto, Nico ed io,

presi per incantamento

ed esposti ad ogni vento,

per monti andammo al voler nostro;

sí che fortuna od altro tempo rio

non ci potesse dare impedimento,

anzi, vivendo sempre in un talento,

di stare insieme crescesse ’l disio.


Il momento poetico, il Sommo mi perdoni, ha le sue profonde scaturigini non appena iniziamo ad affrontare la salita al Pizzo, perché la via prescelta è praticamente un’arrampicata in libera, con uno strapiombo di un chilometro, che se quel centimetro di roccia sulla quale si riesce a posare il piede si dovesse, diciamo cosí per ipotesi, bagnare?, mentre rotoliamo e grattugiamo per benino le nostre carni abbiamo giusto il tempo di recitare l’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam!!!

E siccome si narra che la paura fa 90 (perdio, oggi è la sagra dei luoghi comuni e delle citazioni!), in un’ora e mezzo di caminetti, paretine e qualche tatto di sentiero, alle 13,45 arriviamo «veloci veloci», come dice Nico, in vetta, a 1.781 metri. C’è ancora un bello strato di neve, e siamo a maggio!, non fa per niente caldo e, ooops, acciderbolina e perbaccolina sta iniziando a piovere! Latto volge lo sguardo al cielo plumbeo e nell’aere s’ode un’invocazione:

Pandi! Pandi!



A questo punto due opzioni: riscendiamo «veloci veloci» senza mangiare nulla, e rischiamo di volare per… la fame, oppure “pranziamo”, che almeno se finiamo nel canalone abbiamo la panza piena? La seconda che ho detto. Tiriamo fuori pane, prosciutto e formaggio, frutta, cioccolata e… casomai si chiama Pegaso!

Ore 14,15, firma obbligatoria sul libro di vetta e zaini in spalla. Durante l’ora della discesa a due o tre santi saranno venuti gli acufeni e qualche beato avrà rinunciato sine die ai progetti di santità, ma noi, godendo della protezione di… Pandi, chiamato, anzi urlato a piú riprese come un mantra, superiamo indenni le cime tempestose!

«Allora, com’è andata? Abbiamo visto dei puntini lassú in vetta e abbiamo sentito un urlo lancinante… Ci siamo un po’ preoccupati, perché da quaggiú si vedeva un nuvolone nero!»

«È stato bellissimo, potevate venire anche voi», è la risposta di Latto Iscariota.

Alle 15,30, in seduta comune e stavolta all’unanimità, deliberiamo che s’è fatta l’ora di tornare alla base. Camminiamo sul suggestivo filo della Costiera di Capradossa, sentiero 181, quindi attraversiamo la bella zona erbosa di Poggio Baldozzana e cerchiamo il segnavia del sentiero 192, non facile da trovare. Per meglio dire, facile da perdere, tant’è che a un certo punto scopriamo di essere finiti nel 192 bis, una variante orribile, ma che decidiamo di seguire perché nessuno ha voglia di risalire a rintracciare la via maestra. Solo alla fine scopriamo di aver allungato la peregrinatio di almeno cinque chilometri, visto che invece di incrociare lo sterrato a pochi metri dalla sbarra dobbiamo scarpinare in salita per circa due chilometri. Ma sí, ci volevano quattro passi in piú, giusto per sgranchire le gambe… in fondo sono solo le 17,45, e solo sette ore e un quarto lorde di marcia!

Ce lo meritiamo, è la giusta punizione per la nostra spavalderia e per aver nominato il nome di Pandi… invano!

© Maggio 2006 Massimo Binelli & Nico. Tutti i diritti riservati sulle 51 foto.







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Aronta è quel ch'al ventre li s'atterga,

che ne' monti di Luni, dove ronca

lo Carrarese che di sotto alberga,

ebbe tra ' bianchi marmi la spelonca

per sua dimora; onde a guardar le stelle

e 'l mar no li era la veduta tronca.


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Commenti

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Anonimo on :

chi cazzo è pandi?

Anonimo on :

Perché prima di chiedere "chi cazzo è pandi", non dici chi cazzo sei tu?

Anonimo on :

hai ragione,scusa,sono un amico del latto,del biagio,di nico e anche del pandi..sono stato istigato dai primi due a leggere i resoconti delle vostre scalate e mi sono anche divertito molto!!

Filippo Davoli (Tordini) on :

Gent. amico,

sono a ringraziarla per la citazione di mio cugino Brunello Tordini, nonché per la pubblicazione della targa a lui e al suo amico e collega dedicata. Per le mie precarie condizioni di salute, non mi sarà mai possibile arrivare a vederla coi miei occhi. Brunello era un ragazzo d'oro e il nipote prediletto di mia madre. So che non ha senso che io mi dilunghi in questi particolari, però è stata una sorpresa giungere - attraverso i mille fili del grande tappeto internettiano - a questa pagina. Grazie ancora, dunque. Cordialmente, Filippo Davoli (Tordini)

MB on :

E le assicuro che per me è commovente averle regalato un attimo di emozione, grazie ai "fili" della ragnatela internettiana", come Lei l'ha efficacemente definita, a distanza di quasi tre anni dal giorno in cui pubblicai la notizia con foto. Devo dirle che mi ha dato l'occasione per rileggerla e per rivivere assieme a Lei quella bella giornata di maggio.

Grazie del commento e un abbraccio a chi ricorda con affetto suo cugino Brunello.

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