Italiano, ci manchi!
La crociata dei Cruscanti! Intervista a Marco Grosso e Paolo Matteucci, fondatori della «Società dei Cruscanti»
Marco Grosso, 34 anni, un insegnante di lingue che è anche un poeta, di origini fiorentine ma residente in Svizzera, e Paolo Matteucci, 33 anni, un matematico che è anche un fonetista, di origini pisane ma residente in Inghilterra. Condividono la passione per la lingua italiana e hanno fondato la Società dei Cruscanti. Si tratta di un salotto esclusivo, dove si incontrano in Rete studiosi provenienti da università italiane e straniere. I Cruscanti hanno esperienze culturali che spaziano dalle varie discipline della linguistica alle letterature classiche e moderne, dall’informazione alla telematica, dal diritto all’economia. Uno dei loro obiettivi è di difendere la lingua italiana dall’influenza del morbus anglicus.
L’intervista ai due «Cruscanti», trascritta di seguito in versione integrale, è stata pubblicata oggi da “La Nazione”, Toscana & Liguria Cultura & Spettacoli, pag. 6:
Professor Grosso, come vi è venuta l’idea di fondare la Società dei Cruscanti?
«Da qualche decennio a questa parte, l’uso dei forestierismi, specie anglo-americani, è in aumento. Fuori d’ogni atteggiamento di purismo gratuito, ci sembra che l’ampiezza del fenomeno rischi di compromettere la comunicazione e l’identità della nostra lingua, fino ai limiti del paradosso. Oggi per capire un testo italiano diventa necessario conoscere l’inglese, come in quest’esempio televisivo: “…i senzatetto, cioè gli homeless…”. Per tali ragioni è nata la Società dei Cruscanti».
In che modo avete agito, finora, professor Matteucci?
«Innanzitutto abbiamo cercato di tradurre termini inglesi, entrati, forse per snobismo inutile o per pigrizia, nell’italiano di tutti i giorni. Non le pare che parola d’accesso sia piú trasparente di password o salvaschermo di screensaver? La nostra lingua offre tutte le risorse necessarie per coniare termini d’immediata comprensione».
Ma la lingua, che è un sistema di comunicazione in continua evoluzione, come può essere “imbrigliata”?
«L’influsso di una lingua sull’altra – risponde Grosso –, secondo Arrigo Castellani, non è da giudicarsi dannoso, ma questo deve avvenire senza che ne vengano messe in pericolo strutture fondamentali, come quelle fonetiche. L’italiano, normalmente, non ammette consonanti in fin di parola…».
L’uso dei forestierismi non denota, talvolta, una carenza lessicale dell’italiano?
«Non sempre! I maggiori dizionari, infatti – afferma Matteucci –, non di rado registrano l’equivalente (si veda devoluzione per devolution); e comunque è facile trovare un adattamento o un surrogato italiano. Una parola come performance potrebbe trasformarsi in performanza, seguendo le regole della nostra lingua, o piú semplicemente in prestazione».
Quale rischio corre la lingua italiana?
«Pensiamo che l’abuso di termini inglesi – dice Grosso – non sia salutare: c’è il rischio che l’italiano perda la sua identità, e diventi una specie di dialetto usato da una “piccola minoranza della grande comunità anglofona”, per dirla ancora col Castellani. Adoperare un forestierismo quando esiste un termine italiano equivale a deprezzare la nostra cultura a favore di quella anglo-americana».
Cosa proponete, quindi, professor Matteucci?
«I mezzi d’informazione hanno un potere estremo sull’evoluzione della lingua: basta loro scrivere o pronunciare una parola perché, in breve tempo, divenga d’uso generale e finisca nel dizionari. Pensiamo che sia giunto il momento di riflettere. In mesi di lavoro, abbiamo cercato di tradurre molti forestierismi inutili, doppioni (challenge per sfida, yacht per panfilo, ecc.), o parole che non rimandano a una realtà locale inesistente in italiano (si può accettare morris dance, riferita a una tradizione inglese specifica, ma non, ad esempio, audience per ascolto). Intendiamo far conoscere questa lista (si veda l’esempio della lettera A), consultabile sul nostro sito www.achyra.org, ai mezzi di informazione, e confidiamo nella loro sensibilità perché immettano nell’uso le parole che a loro parranno efficaci».
Scorrendo velocemente la vostra lista, però, sorge qualche dubbio…
«Nel leggere alcuni dei traducenti da noi proposti – spiega Grosso – qualcuno forse sorriderà, succede sempre con le parole nuove, che all’inizio sembrano “strane” o “brutte”. E siamo pure consapevoli che certi termini stranieri radicati (come film o sport) sono difficilmente scalzabili. Li abbiamo tuttavia inclusi nell’intento di stimolare il gusto per un parlare “piú italiano”».
Cosa dovrebbero fare i media, professor Grosso?
«Ci auguriamo che i mezzi d’informazione siano sensibili alla “questione della lingua” e ci aiutino a diffondere i nomi italiani delle cose. Attraverso la ripetizione delle parole si forma l’abitudine, e quest’abitudine possono crearla soltanto i giornali e la televisione. Bruno Migliorini, il piú grande linguista italiano del Novecento (a cui dobbiamo parole come regista per metteur en scène e autista per chauffeur), diceva che “si può benissimo soddisfare alle esigenze della circolazione linguistica europea senza venir meno alle necessità strutturali della lingua nazionale”. E che la lingua italiana viva ancora per secoli, è il desiderio di molti cittadini del nostro Paese, in Italia e all’estero».
© Aprile 2006 Massimo Binelli. Tutti i diritti riservati su testo e foto.
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Aronta è quel ch'al ventre li s'atterga,
che ne' monti di Luni, dove ronca
lo Carrarese che di sotto alberga,
ebbe tra ' bianchi marmi la spelonca
per sua dimora; onde a guardar le stelle
e 'l mar no li era la veduta tronca.
L’intervista ai due «Cruscanti», trascritta di seguito in versione integrale, è stata pubblicata oggi da “La Nazione”, Toscana & Liguria Cultura & Spettacoli, pag. 6:
Professor Grosso, come vi è venuta l’idea di fondare la Società dei Cruscanti?
«Da qualche decennio a questa parte, l’uso dei forestierismi, specie anglo-americani, è in aumento. Fuori d’ogni atteggiamento di purismo gratuito, ci sembra che l’ampiezza del fenomeno rischi di compromettere la comunicazione e l’identità della nostra lingua, fino ai limiti del paradosso. Oggi per capire un testo italiano diventa necessario conoscere l’inglese, come in quest’esempio televisivo: “…i senzatetto, cioè gli homeless…”. Per tali ragioni è nata la Società dei Cruscanti».
In che modo avete agito, finora, professor Matteucci?
«Innanzitutto abbiamo cercato di tradurre termini inglesi, entrati, forse per snobismo inutile o per pigrizia, nell’italiano di tutti i giorni. Non le pare che parola d’accesso sia piú trasparente di password o salvaschermo di screensaver? La nostra lingua offre tutte le risorse necessarie per coniare termini d’immediata comprensione».
Ma la lingua, che è un sistema di comunicazione in continua evoluzione, come può essere “imbrigliata”?
«L’influsso di una lingua sull’altra – risponde Grosso –, secondo Arrigo Castellani, non è da giudicarsi dannoso, ma questo deve avvenire senza che ne vengano messe in pericolo strutture fondamentali, come quelle fonetiche. L’italiano, normalmente, non ammette consonanti in fin di parola…».
L’uso dei forestierismi non denota, talvolta, una carenza lessicale dell’italiano?
«Non sempre! I maggiori dizionari, infatti – afferma Matteucci –, non di rado registrano l’equivalente (si veda devoluzione per devolution); e comunque è facile trovare un adattamento o un surrogato italiano. Una parola come performance potrebbe trasformarsi in performanza, seguendo le regole della nostra lingua, o piú semplicemente in prestazione».
Quale rischio corre la lingua italiana?
«Pensiamo che l’abuso di termini inglesi – dice Grosso – non sia salutare: c’è il rischio che l’italiano perda la sua identità, e diventi una specie di dialetto usato da una “piccola minoranza della grande comunità anglofona”, per dirla ancora col Castellani. Adoperare un forestierismo quando esiste un termine italiano equivale a deprezzare la nostra cultura a favore di quella anglo-americana».
Cosa proponete, quindi, professor Matteucci?
«I mezzi d’informazione hanno un potere estremo sull’evoluzione della lingua: basta loro scrivere o pronunciare una parola perché, in breve tempo, divenga d’uso generale e finisca nel dizionari. Pensiamo che sia giunto il momento di riflettere. In mesi di lavoro, abbiamo cercato di tradurre molti forestierismi inutili, doppioni (challenge per sfida, yacht per panfilo, ecc.), o parole che non rimandano a una realtà locale inesistente in italiano (si può accettare morris dance, riferita a una tradizione inglese specifica, ma non, ad esempio, audience per ascolto). Intendiamo far conoscere questa lista (si veda l’esempio della lettera A), consultabile sul nostro sito www.achyra.org, ai mezzi di informazione, e confidiamo nella loro sensibilità perché immettano nell’uso le parole che a loro parranno efficaci».
Scorrendo velocemente la vostra lista, però, sorge qualche dubbio…
«Nel leggere alcuni dei traducenti da noi proposti – spiega Grosso – qualcuno forse sorriderà, succede sempre con le parole nuove, che all’inizio sembrano “strane” o “brutte”. E siamo pure consapevoli che certi termini stranieri radicati (come film o sport) sono difficilmente scalzabili. Li abbiamo tuttavia inclusi nell’intento di stimolare il gusto per un parlare “piú italiano”».
Cosa dovrebbero fare i media, professor Grosso?
«Ci auguriamo che i mezzi d’informazione siano sensibili alla “questione della lingua” e ci aiutino a diffondere i nomi italiani delle cose. Attraverso la ripetizione delle parole si forma l’abitudine, e quest’abitudine possono crearla soltanto i giornali e la televisione. Bruno Migliorini, il piú grande linguista italiano del Novecento (a cui dobbiamo parole come regista per metteur en scène e autista per chauffeur), diceva che “si può benissimo soddisfare alle esigenze della circolazione linguistica europea senza venir meno alle necessità strutturali della lingua nazionale”. E che la lingua italiana viva ancora per secoli, è il desiderio di molti cittadini del nostro Paese, in Italia e all’estero».
© Aprile 2006 Massimo Binelli. Tutti i diritti riservati su testo e foto.
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Aronta è quel ch'al ventre li s'atterga,
che ne' monti di Luni, dove ronca
lo Carrarese che di sotto alberga,
ebbe tra ' bianchi marmi la spelonca
per sua dimora; onde a guardar le stelle
e 'l mar no li era la veduta tronca.
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Commenti
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Marco on :
Invito tutti a consultare la nostra lista. Chi lo ritiene opportuno può partecipare con proposte o commenti.
Grazie e buon’intredima a tutti!
Marco
ary88 on :
MB on :
se il tuo nomignolo (non scrivo nickname altrimenti i Cruscanti si arrabbiano!) dice la verità, hai 18 anni e mi complimento con te, perché, oltre a interessarti della lingua italiana, hai scritto il tuo commento in modo impeccabile (ed è una rarità, credimi).
Mi piacerebbe completare la mia inchiesta giornalistica (perché quella del cronista e non del cruscante è la mia veste) con il punto di vista dei giovani, perciò ti chiedo di argomentare un po’ meglio le tue osservazioni, magari esprimendo un parere anche su ciò che dice Sabatini. Se vuoi, scrivimi pure in privato, e aggiungi qualcosa, se ti va, riguardo ai tuoi studi e al tuo rapporto con l’insegnamento della lingua italiana a scuola, dato che il tema è tra quelli toccati da Sabatini. Invita pure i tuoi coetanei, e non è detto che tra qualche tempo non possiate leggere le vostre parole sulla “Nazione”…
Ti ringrazio per l’intervento.
sara on :
Siete solo imbambolati dai media e ripetete le parole che loro sfoggiano.
Dice che alla gente piacciono i forestierismi, non ne sarei molto sicura, se i media lanciassero un adattamento sarebbe presto in bocca di tutti, a meno che non fate parte di coloro che sfoggiano i termini inglesi perché credono di essere alla moda e di avere una gran cultura. Tutta arroganza!