Skip to content

Le parole straniere

Chi frequenta il mio Blog ormai dovrebbe sapere tutto dei Cruscanti e della loro «crociata» per tenere alla larga i forestierismi inutili. Intendo apportare un contributo alla ricchissima discussione sulle parole straniere che si sta sviluppando nelle stanze di Cruscate, il forum dedicato alla lingua italiana, sottoponendovi alcuni paragrafi del libro Professione giornalista di Sergio Lepri (vedi bibliografia in fondo alla pagina). È un volume di successo, giunto alla sua terza edizione in quindici anni, forse perché non è un testo solo per giornalisti o aspiranti giornalisti. Affronta in modo didattico, e nel contempo divulgativo, i diversi modi in cui deve essere trattata l’informazione: qui, ovviamente, ho selezionato l’aspetto linguistico, quello delle parole straniere, ma parla anche di abbreviazioni, punteggiatura, parole difficili eccetera.

Cosa ne pensano i Cruscanti del punto di vista di un noto giornalista quale è Arrigo Accornero?

Le parole straniere

di Arrigo Accornero*

Gli scambi tra le lingue

Lingue senza frontiere

I prestiti linguistici, e cioè l’assimilazione di elementi, di solito lessicali, da un’altra comunità, sono un fenomeno che accompagna lo sviluppo della società umana nella storia. Idee nuove e cose nuove esigono parole nuove; ed è naturale che una comunità che porta idee e cose nuove le trasmetta ai popoli con cui viene in contatto, insieme alle parole a esse collegate.

La storia è ricca di esempi. Basterà ricordare la quantità di parole greche assimilate dal latino; la formazione composita dell’inglese; il numero dei vocaboli germanici disseminati da un capo all’altro dell’Europa all’epoca delle grandi migrazioni; i termini arabi – e non solo quelli legati direttamente alla religione islamica – diffusi in tutto il mondo musulmano. E poi, la penetrazione, un po’ in tutte le lingue europee, di voci italiane durante il Rinascimento, spagnole nei Seicento, francesi nel Settecento. Il fenomeno si accentua ancora nell’Ottocento con l’avvento della rivoluzione industriale e la parallela diffusione di termini inglesi legati soprattutto all’industria e al commercio, per divenire massiccio nel Novecento, specialmente dopo la seconda guerra mondiale, quando non più soltanto l’Inghilterra ma ancor più il Nord America diffondono in tutto il resto del mondo, con parole inglesi, le grandi novità della scienza, della tecnica, della vita associativa. La facilità dei contatti, la radio, la televisione, le canzoni, lo sport, i più intensi scambi culturali, non fanno che accrescere questa ondata di parole straniere, soprattutto inglesi, che si abbatte, in misura senza precedenti, sulle altre lingue.

Le reazioni da parte delle altre lingue, di fronte a questa invasione di parole inglesi, sono state diverse. Un po’ tutte ne hanno risentito, accettando e assimilando un certo numero di termini inglesi: forse un po’ meno (fra le lingue principali) il tedesco e il russo; di più lo spagnolo e il francese (si ricordi il fenomeno del “franglais”); dove peraltro ad arginare il fenomeno sono intervenuti, con il loro prestigio, organismi di riconosciuta autorità.

Italiana permissività

Ben diverso il caso in Italia, dove la diffusione di parole straniere (soprattutto inglesi) ha raggiunto proporzioni superiori a quelle subite da altre lingue e tali d dover interessare (e preoccupare) chiunque ritenga che la nostra lingua sia fra i beni culturali del paese meritevoli di protezione insieme ai campanili pericolanti e ai musei minacciati dai ladri.

Per rendersi conto delle dimensioni del fenomeno basta consultare le ultime edizioni dei dizionari italiani più accreditati e alcune pubblicazioni recenti dedicate all’argomento specifico; dalle quali, registrando esse in modo non discriminante la situazione di fatto documentata di vari mezzi di comunicazione, risulta una presenza di parole straniere di recente assimilazione assolutamente eccezionale. Il fenomeno non tocca soltanto i settori specialistici (i linguaggi della scienza, della tecnica, dell’economia, della moda o dello sport), dove potrebbe avere, almeno in parte, una sua legittimazione, ma è generalizzato a tutti i settori e investe tutti i campi della comunicazione, da quello dei burocrati a quello dei politici, da quello della pubblicità a quello dello spettacolo, a quello, ahimè, del giornalismo.

Il fascino dell’esotico

Quali sono le cause di questa inondazione di forestierismi, davanti alla quale, a quanto sembra, non esistono argini validi? Ci sono, è vero, forestierismi, ormai assimilati, legittimati dal fatto di essere entrati da tempo nell’uso comune (come film, sport, cocktail, tennis); altri ancora che lo sono per necessità, designando nuovi concetti od oggetti. Ma questi rappresentano una minoranza rispetto a quelli del tutto inutili perché già esiste nell’italiano un pieno equivalente (come: meeting, target, basket, display, cast, coupon).

In casi di questo genere la spiegazione va cercata nel fascino dell’esotico, nella suggestione delle mode del momento, nel desiderio di fare sfoggio di cultura, di apparire come appartenente a una cerchia ristretta di eletti. A ciò si aggiunge, in molti casi, una scarsa o nulla conoscenza delle lingue straniere (e della propria), che impedisce di individuare immediatamente l’equivalente italiano e fa adottare il termine straniero. Tutto ciò, unito al fenomeno da più parti segnalato del progressivo impoverimento e appiattimento lessicale di questa fase dell’italiano (che sembra scivolare verso quello che, con un forestierismo, si potrebbe definire un “basic Italian”), dà purtroppo alla nostra lingua una connotazione di prodotto di una frettolosa acculturazione piuttosto che di strumento di un’area linguistica di grande ricchezza e tradizioni.

Comprensibilità come regola pratica

Ma non è certo compito di un testo come il nostro [Professione giornalista, nota di MB] quello di entrare nel vivo del problema più generale. Piuttosto, tenendoci lontani tanto da velleità puristiche fuori moda come dall’acritica accettazione di qualsiasi termine captato in una pubblicazione specialistica straniera, poniamoci come norma pratica quella della comprensibilità. Accettiamo dunque i forestierismi già fermamente entrati nell’uso corrente, accogliamo quelli che forse stanno per entrarvi ma necessitano di un chiarimento perché non ancora comprensibili ai più, cerchiamo di limitare ai settori professionali interessati l’uso di certi termini specialistici settorialmente utili e respingiamo invece tutti quelli inutili che servono solo ad alcuni per darsi l’aria di uomini di cultura.

Gli scontri con la morfologia

Ma prima è necessario chiarire un altro aspetto della questione. Fino a cinquant’anni fa i prestiti linguistici sono entrati nell’italiano (direttamente o tramite i dialetti) essenzialmente per via orale. In tal caso l’appropriazione del termine straniero è avvenuta mediante un adattamento della parola in questione al sistema fono-morfologico italiano. Questo adattamento alla fonetica italiana, se da un lato rende difficile in alcuni casi risalire alla grafia originale, fa però sì che non si pongano problemi di pronunzia; e la parola, in breve tempo, non viene più percepita come qualcosa di estraneo, ma diventa parte integrante del patrimonio lessicale della lingua. Così è accaduto per secoli, con successivi apporti, come si è visto, ora dallo spagnolo, ora dal francese, ora dall’inglese.

Questo procedimento di assimilazione per via di adattamento fonetico è durato per secoli, estendendosi anche ai termini geografici. Ne abbiamo ancora tracce abbondanti nella nostra lingua di oggi (Parigi, Mosca, Vienna, Londra ecc.); ma in tempi più lontani il fenomeno aveva proporzioni molto più vaste. Basti ricordare che Dante cita Guanto (Gand), Bruggia (Bruges), Arli (Arles), Doagio (Douai), che sono stati poi abbandonati col trascorrere del tempo. E in quelle epoche si diffuse anche la pratica di adattare foneticamente all’italiano nomi propri di persona (per esempio, il pittore Albrecht Dürer divenne a Venezia Alberto Durero o Duro, il condottiero John Hawkwood divenne Giovanni Acuto a Firenze, la casta d’Anjou fu chiamata Angiò in Italia).

Questo processo è durato in forma consistente solo fino ai primi decenni del Novecento e si è poi rapidamente esaurito. Alcuni degli ultimi tentativi di adattamento fonetico hanno attecchito quasi solo in Toscana, dove ovviamente il senso della lingua ha ancora maggior vigore (broscia, ponce ecc.). Forse l’ultimo termine straniero recepito dovunque e assimilato per via fonetica è stato “gol”.

Si può dire che dagli anni Venti del Novecento la stragrande maggioranza dei termini stranieri accettati è entrata invece per via di comunicazione scritta. In questo caso però si presenta una difficoltà assai più seria: se infatti, a differenza dei casi di assimilazione fonetica, non si pongono (o almeno non si dovrebbero porre) problemi di grafia, se ne pongono invece e di molto gravi per quanto riguarda la pronunzia, abbandonata all’arbitrio delle interpretazioni personali, anche per la scarsa confidenza di gran parte dei nostri connazionali con le lingue estere. Ne risulta quindi un’estrema varietà e arbitrarietà di pronunzie e una buona dose di confusione. Inoltre – ma questo è un aspetto che non può essere approfondito in questa sede – il prestito affidato al segno grafico continua, salvo pochi casi, a risultare un corpo estraneo nell’organismo della lingua.

Secondo questo processo di assimilazione per via grafica si è giunti alla assimilazione nell’italiano di una grande quantità di parole dal francese alla fine dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento; di una quantità ancora maggiore di parole dall’inglese dalla fine della seconda guerra mondiale in poi.

Uso e abuso di parole straniere

Il plurale e gli articoli

Prima di passare a esaminare le varie categorie di forestierismi più o meno assimilati o assimilabili saranno opportune alcune avvertenze di carattere generale per l’uso di questi termini.

Per quanto riguarda la formazione del plurale, le parole ormai accettate dal nostro vocabolario non debbono seguire le norme delle lingue di origine e rimangono invariate nella forma del singolare. Così sport, film, bar, ecc., anche al plurale. Per le altre parole, di assimilazione ancora incerta, sarà bene azzardarsi a usare il plurale della lingua di origine soltanto quando si è assolutamente sicuri di conoscere quella lingua; altrimenti sarà meglio conservare la forma del singolare.

Per porre l’articolo davanti alle parole straniere assimilate occorre regolarsi sul suono iniziale della pronuncia. Così il jack, lo sherry ecc. Nei casi incerti che possono nascere con la lettera w inglese, che è semiconsonante (il wisky, lo wisky, l’wisky?), sarà opportuno evitare l’incontro (“una bottiglia”, o “un bicchiere di wisky”).

Formazioni ibride

È bene rendersi conto che alcuni dei termini ormai assimilati hanno sì una radice straniera – di solito, l’inglese – ma sono in effetti formazioni ibride che non hanno alcun significato in inglese. È il caso di autostop, autogrill, autostarter. Altri ancora, autenticamente inglesi, hanno però assunto in italiano un significato assai diverso da quello della lingua originaria (come flipper, slip, body, smoking, tight, box ecc.) o vengono usati in italiano con un significato più estensivo e a volte diverso da quello originale (come feeling, spot ecc.). Per questi casi, come in genere per tutti i termini stranieri assimilati nell’italiano e usati con la pronunzia italiana, varrà la raccomandazione di astenersi dall’impiegarli parlando con stranieri, per evitare il rischio di essere fraintesi o non essere intesi del tutto. Lo stesso si dica per le parole inglesi usate in italiano dimezzate (come night da night club, jolly da jolly joker ecc.), che in questa forma perdono in inglese ogni significato.

Forestierismi già assimilati

Sono parole straniere entrate nell’uso comune e quindi di larga o quasi generale intelligibilità: parole accettate così come erano (per esempio, bar, film, sport), parole che hanno subìto una qualche forma di italianizzazione o di adattamento alla morfologia italiana (come bidè, paltò); anche parole che hanno mantenuto lettere (k, w, j) non appartenenti all’alfabeto italiano (come in jeep, hobby, krapfen, taxi, würstel); per molte di queste ultime rimane solo il problema della pronunzia, incerta e spesso non corrispondente alla pronunzia nella lingua di provenienza.

Ormai comprensibili ai più e alcune mancanti di un corrispettivo italiano (come cocktail, poker, tennis), queste parole sono da considerarsi inserite nel nostro vocabolario, almeno fino a quando rimangono nell’uso corrente. Ecco un esempio di quelle più importanti e maggiormente in circolazione.

[Segue ampia lista, omissis]

Forestierismi settoriali

Sono parole straniere che appartengono, in genere, a linguaggi settoriali o specializzati: finanziari, tecnici, commerciali, scientifici, artistici, sportivi, militari; quasi tutte insostituibili (almeno per ora) oppure sostituibili con espressioni di più parole; e spesso necessarie, proprio perché correnti nell’uso di ambienti specializzati e perciò da utilizzare; ma, quando opportuno, con appropriata spiegazione.

[Segue ampia lista, omissis]

Forestierismi inutili

Sono parole straniere quasi sempre inutili o, per lo meno, non indispensabili (per esempio, quelle con riferimento a situazioni storico-politiche, come “apartheid”, o a professioni, come “bookmaker”); il loro uso nasce, in genere, dall’ambizione di impreziosire il linguaggio a scapito della intelligibilità. A volte si caricano di significato più o meno diverso da quello posseduto nella lingua di origine. Qui sotto se ne suggeriscono possibili sostituzioni, ma talvolta la soluzione migliore è di modificare la frase.

[Segue ampia lista, omissis]

I forestierismi dell’informatica

Il pc usa in prevalenza la lingua inglese ed è quindi fatale l’immissione di anglismi nel linguaggio settoriale dell’informazione e da questo anche nel linguaggio comunemente parlato. Possiamo tuttavia distinguere varie categorie.



  • Prestiti di necessità in mancanza di un corrispettivo italiano: backup (il “sostegno”, la “riserva”, la duplicazione di un documento oppure di dati su una memoria permanente per garantirne la sicurezza e la conservazione), bit (contrazione di “binary digit”, è l’unità fondamentale di sistemi di numerazione binaria), byte (contrazione di “binary octet”, è la successione di otto “bit” adiacenti, trattati come unità sufficiente a formare qualsiasi carattere alfanumerico), compact disc (che tuttavia ha trovato un accettabile sostituto in “cd”, pronunciato ciddì), input (ogni dato trasferito da una fonte esterna nella memoria centrale del computer; ma il neologismo si è esteso al linguaggio scientifico e tecnico e anche, come traslato, nel linguaggio colto corrente), mouse (il dispositivo che sposta un cursore sullo schermo; è difficile chiamarlo “topo”), modem (il dispositivo che collega il computer alla linea telefonica), scanner (l’apparecchio che trasferisce nella memoria del computer immagini di originali cartacei o da pellicole).


  • Prestiti non necessari, che a molti piace usare al posto dell’equivalente italiano: abstract (c’è “sunto”), directory (c’è “indice” o “repertorio”), e-mail (c’è “posta elettronica”), enter (già sostituito con “invio” nelle tastiere italiane), floppy disk (c’è “dischetto”), hard disk (ci si può servire di “disco rigido” o “memoria rigida”), on line (si può dire “in rete”), network (c’è “rete”; in televisione si usa anche “rete televisiva”, “circuito televisivo”; anche, non correttamente, per “emittenza privata”), password (c’è “parola d’ordine”), software (si può ricorrere a “programma”); in questa categoria potremmo classificare anche computer, entrato ormai nell’uso invece di “calcolatore elettronico” (ma come si giustifica quella u pronunciata iu?).


  • Adattamenti accettabili: alfanumerico, analogico, banca dati (da “data base”), consolle (che sostituisce “console”), digitale (ma sarebbe meglio “numerico”), formato (da “format”), icona (da “icon”), interfaccia (da “interface”); e i verbi cliccare, digitare, formattare.




Ovviamente da scartare i neologismi di gergo, usati fra il serio e lo scherzoso, come interfacciare, killare, linkare, printare, scannare, scrollare, sendare, settare.

Anche Internet sta portando molti anglismi; ecco i più usati: browser (il programma per viaggiare sulla rete), chat (“conversazione”) e chat line (il canale dove si può chiacchierare), client (il dispositivo o programma che utilizza i servizi forniti da un “server”), gopher (un sistema di ricerca), hacker (il pirata informatico), host (cioè l’“host computer”, che ospita utenti esterni), provider (il fornitore di connessioni in Internet), server (il fornitore di servizi), user (l’utente).

[Seguono paragrafi sui forestierismi della moda e dello sport; e altri sulla trascrizione e traslitterazione dei nomi propri; sulle lingue che non usano l’alfabeto latino e su quelle con alfabeti latini.]

_____________________________________

* Arrigo Accornero ha contribuito alla stesura del libro Professione giornalista, di Sergio Lepri, da cui è tratto questo stralcio sulle parole straniere. Di Lepri, direttore responsabile dell’agenzia Ansa dal 1961 al 1990, Accornero è stato uno dei più stretti collaboratori nel ruolo di vicedirettore per i servizi esteri.

Bibliografia

LEPRI, S.

2005 Professione giornalista, Milano, Etas, 3a ed.



------------------------

Aronta è quel ch'al ventre li s'atterga,

che ne' monti di Luni, dove ronca

lo Carrarese che di sotto alberga,

ebbe tra ' bianchi marmi la spelonca

per sua dimora; onde a guardar le stelle

e 'l mar no li era la veduta tronca.


Trackbacks

Nessun Trackbacks

Commenti

Mostra commenti Cronologicamente | Per argomento

Marco on :

Concordo pienamente con Sergio Lepri, che bene ha descritto la situazione e ottimamente consiglia il giornalista (e, piú in generale, lo scrivente). Speriamo che lo leggano in molti e che questi molti mettano in pratica i suoi suggerimenti. Solo s’una cosa dissento da lui, e sono i «prestiti di necessità» dell’informatica. Se riprendiamo la lista, vediamo che un corrispettivo italiano o c’è o si può trovare:

backup: copia di riserva (o di sicurezza);

bit: biunità (o, adattando, bitto);

byte: ottetto;

compact disc: disco compatto (ma va bene ciddí);

input: immissione (di dati) – col verbo immettere;

mouse: topolino (tutte le lingue neolatine l’hanno tradotto: fr. souris, sp. ratón, port. rato, rum. soricel: solo noi siamo miofobi?);

modem: composto da MO[dulator] + DEM[odulator], è accettabile cosí, ma volendo si sarebbe potuto fare modemulatore;

scanner: scanditore (registrato in tutti i dizionari) – col verbo scandire e il sostantivo scansione.

Il problema di fondo, secondo me, – di là dalla maggior brevità degli anglicismi – sta nella poca fiducia e considerazione che gl’italiani hanno nei confronti della loro lingua e cultura. Paesi fieri di sé come la Spagna e la Francia non si peritano certo di adattare o sostituire molti forestierismi (computer: ordenador/computadora [sp.], ordinateur [fr.], ecc. – e esiste anche in italiano ordinatore, ma chi l’adopera?).

Se teniamo a che l’italiano resti una lingua di cultura nel pieno senso del termine, cioè una lingua capace di parlare di tutto senza ricorrere al prestito crudo (che a poco a poco la snatura) bisogna impegnarci tutti a evitare quei termini inutili, cominciando dalla sfera privata. Si mostrerà forse che il genio dell’italiano, il suo tanto decantato estro creativo, non è morto ma solo intorpidito. Ridestiamolo!

anonimo carrarino on :

Suggerisco, perche' è importante rivalutare il ruolo dei fieri dialetti locali, anche i seguenti sinonimi.

mouse: tarpon

da cui la nota frase "'pist' li col tarpon" a cui spesso si abbina, dopo una piccola pausa, anche la comune parola vagamente, e ingiustamente oserei dire, dispregiativa coion, per indicare l'azione di cliccare su in oggetto, con il verbo 'pistar -> cliccare

router - 'rut

da cui la nota frase "pi' st' 'rut" per indicare l'azione di prendere materialmente l'oggetto medesimo

Hard Disc - duron

da cui "'ma quant' i'je grand st' duron?" per chiedere lumi circa la capacità dell' hard disk

sono su tutti i dizonari di carrarino, d'ora in poi li voglio sulla bocca di tutti...

System on :

Il plurale nelle parole inglesi...

Forse hai ragione tu, se fossi colpito da uno strano virus talebano-linguistico (di chiara matrice montanelliano-giornalistica trasportata forzatamente dalla lettera32 all’elite di scrittori "creativi" sul web) dovrei convincermi di quanto dici…

Ma forse se gratti la patina di sicurezza dai blog dei molti “guru” (o dovrei dire gurus) si scopre che poi tutte queste certezze sono solo consuetudini o quasi…

Ma, se una rondine non fa primavera, duecento rondini tengono sveglio tutto il quartiere fin dalle 5 del mattino e riempiono di merda tutti i davanzali.

Oltretutto, qual è la discriminante tra Forestierismi già assimilati e semplici prestiti linguistici?

La frequenza d’uso? Quante volte viene detto o scritto in un certo lasso di tempo?

La quantità di penetrazione nella lingua? Da quante persone viene usato?

Ma dimmi si deve trattare di soggetti normali, soggetti altamente letterati o opinion-makers? (Cazzo! Ho usato il plurale… Sono grave?)

Forse si tratta di autoreferenzialità? Dovuta alla comparsa (a piacere del curatore e sulla base di quanti lemmi ha deciso di pagargli il suo editore) sul vocabolario cartaceo più in voga?

O forse si deve calcolare tutti questi parametri facendo poi una media sulla base di quanti anni e su quanti vocabolari compare?

Ecco si, ci vuole un bell’indice autarchico di misurazione dell’intensità del forestierismo per mettere tutti d'accordo…

La lingua andrebbe liberata, e come deve vivere ed evolvere o involvere dovrebbe deciderlo solo il destino e le genti che la usano, fuori da qualsiasi accademia.

Niente è vero… Tutto è permesso (W.S.Burroughs)

Allegra Dessi on :

La conoscenza delle lingue è uno strumento eccezionale in grado di avvicinare popoli e creare relazioni a livello sentimentale e professionale. La mia vita è migliorata tantissimo grazie allo studio ed alla conoscenza delle lingue straniere.

Ho vissuto in tanti paesi d' Europa. La mia stessa famiglia è la prova che le differenti culture possono imparare l' una dall'altra. Imparare una lingua straniera è un’esperienza divertente. All’inizio l’interesse è grande, ma col tempo talvolta l’apprendimento diventa una fatica. Per fortuna ho trovato un corso di lingua molto divertente da www.imparare-lingue.eu Li trovate quasi tutte le lingue del mondo – quasi ;-)

Bacio,

Allegra

MB on :

Grazie della segnalazione...

PAOLO on :

ciao,

sto scrivendo una tesi di laurea sul linguaggio settoriale del calcio. Ho visto che qui dovrebbe esserci una parte dedicata ai forestierismi del calcio ma non la trovo. Qualcuno sa darmi una mano anche proponendomi materiale utile alla mia ricerca?

L'autore non consente commenti a questa notizia

Aggiungi Commento

Enclosing asterisks marks text as bold (*word*), underscore are made via _word_.
Standard emoticons like :-) and ;-) are converted to images.
BBCode format allowed
Form options

I commenti sottoposti sono soggetti a moderazione prima di essere mostrati.